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Personal Review #13: Se stiamo insieme ci sarà un perchè – Take me home

Buongiorno lettori!
Quest’oggi non inizierò con la solita, consueta tiritera “Eccoci arrivati al weekend“, ma semplicemente vi informerò – non che ve ne possa seriamente importare, ma ci tenevo ad esprimerlo in un post– che è cominciato per me un cambiamento. Vi avevo già accennato a qualcosa nei precedenti appuntamenti e… beh, detto francamente, il mutamento è giunto ed io mi sento libera. Non voglio dire di più, pur essendo totalmente consapevole della enigmaticità della mia affermazione, ma vi basti sapere che sono sollevata, leggera, e respiro decisamente meglio.
Bene, ora è il momento della recensione. Ho scelto un romanzo che, in tempi molto recenti – l’ho finito due giorni fa, se non erro – mi ha totalmente sconvolta. E presto conoscerete anche la ragione.

Titolo: Se stiamo insieme ci sarà un perchè – Take me home
Autrice: Daniela Sacerdoti
Editore: Newton Compton
Collana: Anagramma
Anno: 2015
Pagine: 319

La vita di Inary Monteith è a una svolta cruciale. Dopo aver passato la notte con Alex, il suo migliore amico, lei gli ha spezzato il cuore dicendogli che è stato un errore. Quella stessa mattina, poi, una terribile telefonata le impone di lasciare Londra per tornare in tutta fretta dalla sua famiglia, nelle Highlands scozzesi: la sorella minore, malata da tempo, è peggiorata improvvisamente. Il ritorno nella terra d’origine segnerà per Inary un imprevisto momento di riflessione sul passato e su quello che desidera dal futuro. Oltre alle precarie condizioni di salute della sorella, infatti, dovrà confrontarsi con un fratello ostile, un ex fidanzato con cui non vuole più avere niente a che fare, i suoi contrastanti sentimenti per Alex e un affascinante ragazzo americano incontrato da poco. Inoltre, si troverà a dover gestire uno strano dono che credeva di aver perso per sempre – un sesto senso che da secoli attraversa le generazioni e caratterizza molte donne della sua famiglia. E quando una voce dal passato le chiede con insistenza di essere ascoltata, Inary scoprirà un mistero che dovrà necessariamente svelare, se vorrà tornare a essere libera e felice.

Ok, se vi lasciate traviare dalla traduzione italiana del titolo, sarete certamente colti da un immediato conato di vomito – perdonami, Riccardo, ma la tua canzone non ci azzecca proprio una mazza, detto papale papale -, ma come solitamente sostengo io, in casi come questo, è necessario andare a dare un’occhiata al titolo originale.
Take me home”. Fino a più o meno metà romanzo, anzi, addirittura, quasi tre quarti, questo titolo mi aveva comunque lasciata perplessa, ma presa dalla trama, non ci avevo badato più di tanto. Quando sono giunta a collegare ad esso un determinato evento, una specifica frase di un personaggio, ho amato ancora di più la storia e le parole della scrittrice – ovviamente non vi aspetterete che vi riveli in modo specifico del punto del libro a cui mi riferisco, ma sappiate che è un vero tocco di classe, di cui unicamente le buone autrici sono dotate –.
Ammetto di avere iniziato la mia review in medias res, ma mi sembrava giusto fornire una spiegazione introduttiva a ciò che, come ormai è universalmente risaputo, mi infastidisce di più delle traduzioni italiane: i titoli spesso del tutto inappropriati – scusate, sono una piattola-. Ora compirò qualche passo indietro in modo da appianare le vostre espressioni confuse – lo so che avete arricciato il naso, non negatelo! -.
Ho scelto di leggere questo romanzo in questo momento della mia vita perché avevo bisogno di qualcosa di leggero, romantico e scorrevole e la trama di “Take me home” mi era apparsa perfetta ai miei scopi. Tuttavia, sin dai primi capitoli, ho capito che non si trattava proprio per nulla di un libro leggero – vedete, l’apparenza inganna e lo fa molto spesso.. – .
Inary è una protagonista tutto fuorché facile, e con ciò non intendo che sia una ragazza di labili costumi, ma una giovane donna che si trova davanti a più bivi, tutti difficili, tutti, in qualche modo, come salti nel vuoto per lei, in un senso o nell’altro. Avere a che fare con due differenti, ma profondi – in maniera diversa – dolori la scombussola, la priva dei suoi equilibri, del suo perché, la porta a riconsiderare le sue priorità, il suo scopo, e non mettendola in gioco, perché, a quel punto, il romanzo si sarebbe trasformato in una tessitura banale, trita e ritrita, che si vede in continuazione, ma ponendola di fronte a qualcosa di più grande e più forte di lei.
Inary ama Alex, ma non sa materialmente come amarlo. Perché lo ama, ed è palese sin dall’inizio, ma la sofferenza passata e lacerante di un amore a cui tutto ha dato ed il nulla ha ricevuto la trascina verso un allontanamento, per niente forzato, come naturale, perché il suo cuore ancora non può aprirsi, lei stessa non può svelare di nuovo la sua anima, non si sente di rischiare perché non ne ha ancora le forze.
Inary si ritrova sola. Perché è così che si sente quando muore sua sorella, Emily, la sua metà, anzi, oserei dire proprio il suo tutto, quel raggio di sole a cui aveva legato indissolubilmente la propria esistenza e nei confronti della quale si trova terribilmente, inesorabilmente in colpa. Lei è scappata, ha lasciato il suo paese d’origine, Glen Avich, ha abbandonato – accusa che si porterà dietro per quasi tutto il romanzo – il proprio fratello Logan alle cure della piccola di casa, per un uomo che l’aveva abbandonata a sua volta, troppo chiuso, troppo sordo a quello che lei era veramente, al suo dono a cui mai, in fondo, lo stesso aveva creduto.
Il silenzio di Inary di fronte a questi due dolori diventa materiale, fisico, perde la voce senza più riacquistarla, un trauma che riflette la sua condizione di lacerazione, quella rottura dentro che la condurrà a porsi mille domande, non solamente mettendosi in discussione come donna e come adulta, ma portandola all’odio, anche e soprattutto nei confronti di sé stessa e di quel dono, che arriva ad essere una maledizione, un’infausta condanna che finirà, tuttavia, al contrario di quanto lei stessa abbia sempre ritenuto, per essere la sua fortuna, la sua vera benedizione.
Inary vede i morti. Detto così appare come il dettaglio di un film di M. Night Shyamalan, ma è realmente ciò che la protagonista può fare. Lo potevano fare le sue antenate e lei come loro, nonostante questa sua capacità sia rimasta in sordina per anni. Poco più che ragazzina vede uno spirito e ne rimane particolarmente turbata – soprattutto perché il ricordo di esso è legato al suo rischiato annegamento – e questa sua abilità ritorna dopo la morte della sorella – e, ad essa, sembra quasi collegarsi la perdita della voce -.

“Posso di nuovo “vedere”, scrissi.
«Posso di nuovo… Oh… E cosa ne pensi? Voglio dire…». Incespicò. I suoi occhi erano pieni di preoccupazione, e potevo immaginare perché. Non avevo mai rivelato a nessuno che cosa avevo visto quel giorno al lago tanti anni fa, ma i miei familiari sapevano che senza dubbio doveva essersi trattato di qualcosa di davvero spaventoso. Mia madre e mia nonna avevano cercato di scoprirlo – me lo avevano chiesto dolcemente ma anche con una certa insistenza, e avevano fatto il terzo grado a mio padre, che mi aveva portato in barca quel giorno. Ma io non glielo avevo detto mai, e mio padre non aveva visto nulla, ovviamente. Esprimerla a parole avrebbe significato rendere la cosa troppo terribile, troppo reale.
Non so ancora che cosa pensare, scrissi.
«Chi… Chi hai visto?», chiese, guardandosi le mani.
Una ragazza di nome Mary. Nella mia stanza, scrissi, sottolineando ogni parola con un cenno del capo. In quei giorni stavo chinando la testa così tante volte, che temevo avrei avuto uno strappo muscolare.
«Chi era?»
Non lo so. Alzai le spalle.
«Ok. Sei sicura di star bene?»
Ce la posso fare, scrissi, in tutta sincerità. Veramente la ragazza mi ha  quasi fatto compagnia. È stato bello vederla. Lo so che è strano…
Logan sospirò. «Non so se è strano.Voglio dire, non so come mi sentirei se potessi “vedere” ciò che vedi tu. Alcune volte vorrei poter avere anch’io il tuo dono. Così forse potrei vedere i nostri genitori. Ed Emily…».
Trattenni il respiro. Logan non era il tipo di persona che parlava molto dei suoi sentimenti, e non avevo mai immaginato che desiderasse avere anche lui il dono della veggenza.
«Chissà come sarebbe poterli davvero vedere… da morti».
Chinai la testa. Avevo perso il dono prima ancora che mia nonna e i miei genitori morissero, e quindi non avevo idea di come mi sarei sentita se li avessi visti nelle sembianze di spiriti. Sapevo solo che desideravo a tutti i costi vedere Emily.
«Inary…», sussurrò mio fratello, appoggiandosi di nuovo all’albero.
Sapevo che cosa stava per chiedermi. E non era preveggenza. Solo la natura umana. «Chissà se la vedrai». Non c’era bisogno di chiedergli a chi si riferisse.

Il percorso che Inary, intrappolata nella sua volontà di scrivere, passione della sua vita, ma nell’inadeguatezza che prova ogni qualvolta tenti di farlo, compie, dalla speranza di rivedere la sorella, quantomeno in forma spirituale, al desiderio di risolvere il “mistero” di quell’anima che in un certo senso la perseguita e le chiede di essere salvata, è quella di una ragazza che, posta brutalmente davanti ad eventi drammatici, deve diventare donna e per questa ragione deve affrontarsi, scontrarsi con sé stessa, con i propri limiti, i propri difetti, imparando ad accettarli ed accettarsi. E sembra una scemenza a leggerlo, ma io sono certa che ciascuno di noi, analizzando la propria storia, si ritroverà un pochino negli stessi interrogativi della protagonista.

Aprii gli occhi in pieno giorno – una cosa strana per me, che di solito mi svegliavo presto. Il sogno era stato così reale, così vivido.
Era tanto tempo che non pensavo più a quella sera: la sera in cui Alex e io eravamo andati a vedere Sogno di un notte di mezza estate. Quella sera a teatro io ero come rinchiusa in una bolla: inconsapevole di tutto eccetto il fatto che il giorno prima era stato il mio compleanno e Lewis non aveva chiamato. Non desideravo davvero che mi chiamasse, ma mi sembrava tutto così surreale. Mi sembrava impossibile che non avrei mai più parlato con lui il giorno del mio compleanno. O che non avrei mai più parlato con lui.
Era come ritrovarsi all’improvviso in un incubo.
Nei giorni immediatamente precedenti mi ero lanciata in un’attività frenetica, incapace di fermarmi – lavoro, shopping, lezioni in palestra (che odiavo), uscite al pub: tutto pur di non stare sola e non pensare al disastro che era la mia vita. Ero esausta, e comunque l’eccesso di attività non aveva avuto l’effetto sperato: la mia mente stava ancora lavorando senza posa, portandomi in luoghi freddi e solitari.
Così avevo accettato volentieri l’invito di Alex a trascorrere ancora un’altra serata fuori, per provare a distrarmi. La presenza di Alex aveva su di me un potere calmante. Anche soltanto sentire la sua voce mi rilassava, mi offriva una tregua dal caos delle emozioni. A quanto pareva, Alex faceva quello stesso effetto a molte persone.
Era stata una serata tranquilla. In alcuni momenti mi ero sentita di nuovo quasi felice – non del tutto, ma quasi.
Dopo lo spettacolo eravamo usciti per una passeggiata serale, a mangiare patatine da un cono di giornale – e avevamo riso del fatto che lì dentro si riuscisse davvero a leggere il giornale.
Quando Alex mi aveva portato a casa e mi aveva lasciato sulla soglia, ricordo di aver provato un senso di abbandono. Avrei desiderato che venisse su da me e mi aiutasse a dimenticare, ma mi ero trattenuta. E avrei dovuto trattenermi anche quell’altra volta.
Nel mio sogno continuai a rivivere tutta la serata, scena dopo scena, e quell’atmosfera di serena amicizia e semplice allegria.
Quando mi svegliai, mi aspettavo di vedere le pareti lilla della mia camera di Londra, e di sentire dalla finestra il brusio del traffico. Mi ci volle qualche secondo per realizzare che non ero a Londra, ma nella mia casa di Glen Avich, e che Alex era tanto, tanto lontano.

L’amore ha tante sfaccettature ed ecco che la Sacerdoti, con maestria, sa come renderlo.
L’amore sa essere lontananza, ed in essa può crescere, maturare, essere compreso, fiorire ed arrivare a fare male.
L’amore è quello per una sorella che non c’è più, ma sa esserci sempre, purtroppo o per fortuna, a seconda dei momenti. E’ un amore dopo la morte, un amore che può diventare senso di colpa.
L’amore è quello per un fratello sordo all’amore, autodistruttivo, che costruisce muri attorno a sè, permettendo poco e mai di penetrarli.
L’amore, quello per sé stessi, è un percorso complesso, e nemmeno c’è qualcosa, un indizio, un segnale, che ci illumina e ci dice chiaramente che arriveremo al traguardo vero.
Ed io che mi aspettavo un romanzo leggero… in “Take me home” c’è questo e molto più.
Non vi aspettate la passione, quella comune, il desiderio, e tutto il romanticume consueti.
E’ qualcosa di diverso, è un viaggio nuovo e meravigliosamente da percorrere.
Voto: 8 e mezzo 

Autore:

Ballerina da 26 anni 💃🏼, amante di 📚, 🎬 e 🎼. Ho scritto un libro: “Elastic heart” ♥️

11 pensieri riguardo “Personal Review #13: Se stiamo insieme ci sarà un perchè – Take me home

  1. ciao! scusa il disturbo ma ti ho nominato nel bookish love tag! se vuoi partecipare dai un’occhiata quihttps://bestfantasyworldintheuniverse.wordpress.com/2015/04/06/bookish-love-tag/ e spero che tu non lo abbia già fatto!!

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